Cerco
di trovare il film usando internet, in streaming o Emule per
scaricarlo (come avrebbe fatto qualunque mio coetaneo), ma non ci
riesco in nessun modo. Allora mi informo se viene ancora proiettato
in qualche sala, finalmente lo trovo!
E sembra che l'unico modo per
andare a vederlo sia quello di andare al "Greenwich" a
Testaccio. Arrivo in un nuvoloso pomeriggio di domenica, entro, e
appena seduto mi accorgo di trovarmi in un universo cinematografico totalmente distante da quello che sono abituato a vedere nei
Multiplex. Qui si respira ancora l'aria del "vecchio cinema",
quello di cui mi parlava mio nonno. Un luogo in cui ci si recava con le
uova e una ciotola per farsi "l'uovo sbattuto" e berlo durante la proiezione, mentre si guardava il film.
Mi accorgo di questo dagli odori
che arrivano alla mia poltrona, dalla sala: gente che sbuccia e mangia arance, gente che mangia panini caldi e che si è
portata altra frutta da casa, dalla quale emanano odori inebrianti.
Mi
sento "a casa", anche perché mia nonna è stata una
dipendente dell'Istituto Luce per 41 anni e conosceva benissimo
Fellini, quindi mi sento doppiamente motivato a "godermi il
film".
La
prima immagine è iconica: un Fellini con la sedia da regista, la
sciarpa, il Fedora, e il megafono, che contempla un mare talmente
bello da essere irreale! Ma da lasciare me comunque
stupito.
Da qui inizia subito una carrellata di personaggi che
passano, illuminati da un "occhio di bue", e si esibiscono
in performance belle ma semplici, "antiche", delle
bolle di sapone, trucchi di magia, uomini sputa fuoco e così via,
una sorta di "circo" in pieno stile "Felliniano".
Quasi
subito, capisco che non sarà il solito film, ma sarà una sorta di
"Divina Commedia", difatti vengo accompagnato da un
fantastico “Vittorio Viviani” nella parte del "narratore",
una sorta di "Virgilio" che ci accompagna in questo che
sarà un inferno "Felliniano" più che "Dantesco".
Sequenze
in bianco e nero di un Fellini giovane, interpretato da “Tommaso
Lazotti” che ha una vera somiglianza con "Il Maestro",
inoltre le sequenze riprendono proprio, per stile, illuminazione,
comicità e inquadrature, i classici film di cui Fellini fece da
sceneggiatore, come quelli di Totò (Totò Le Mokò) o di Fabrizi e
altri del genere.
Vengono
alternate scene di repertorio interessantissime, soprattutto per chi, come me, vuole diventare regista un giorno.
Il
"vecchio" Fellini non viene quasi mai inquadrato in viso,
non solo per necessità, ma penso anche per scelta del regista.
Vengono
inserite vere interviste audio di Fellini, che vengono mimate
dall'attore che interpreta il Maestro da vecchio, e anche se il
trucco è semplice e si nota quasi subito, per un attimo sembra che
voce e fisicità siano veramente suoi.
Quando
non viene usato l'audio del vero Fellini, viene doppiato da “Mino
Caprio” che imita quasi alla perfezione l'inconfondibile voce del
Maestro.
Tutta
Roma viene ricostruita nel “Teatro 5”, il teatro di cui tanto mi
parlava mia nonna quando ero piccolo, e dove mi portava a fare le gite
"cinematografiche" raccontandomi aneddoti e curiosità.
Non
viene nascosto più di tanto allo spettatore che Roma sia
ricostruita nel teatro, anzi, viene scelto di farlo vedere, quasi per
far intendere che Roma per Fellini era tutta un teatro, dove si
muovevano i suoi "burattini", come lui li raffigurava sulla
locandina di Ginger e Fred, locandina appesa sul muro
della camera di mia nonna, che io per anni ho guardato, fissandomi sulla
dedica autografata del Maestro, senza capire chi egli fosse.
Per
tutto il film, Scola rappresenta Fellini come un eterno bambino, e non
un bambino qualunque, ma Pinocchio (non a caso un burattino anche
qui), un "eterno pinocchio" che racconta grandi fantasie e
fa sognare milioni di persone. Fellini è raffigurato non più di
tanto per come era, ma per come "era visto", un "falso
balenio di una follia ragionante".
Pensavo
che nella scena dove lui torna a Roma, dopo aver preso innumerevoli
Oscar e viene applaudito e venerato da molti tassisti romani, venisse
inserita, invece niente! Forse solo aver messo i classici taxi
gialli era già un "tributo" a "Il Tassinaro", o
voglio sperare che sia così.
Il
film, oltre a essere biografico e Felliniano, è soprattutto
"patriottico". L'orgoglio del cinema italiano, così come
viene visto e apprezzato nel mondo.
Nel mondo ci conoscono per poche
cose, per stereotipi e luoghi comuni, e uno di essi è proprio lo
stile "Felliniano" che contraddistingue, in fondo, ogni
italiano medio.
La
fine è quasi metafilmica. Al frammento di repertorio del vero funerale
viene aggiunta una scena dove un Fellini anziano contempla la sua
bara, per poi fuggire inseguito da due carabinieri, come se fosse
immortale, come se persino la sua morte fosse tutta una "messa
in scena", forse proprio da lui , organizzata e diretta: un'ennesima "marachella" del "Pinocchio"
ricordato e raffigurato da Scola.
Fellini, inseguito dai
carabinieri, scorre tutti i Cinecittà Studios in lungo e in largo,
passando per vari set, fino ad arrivare ad una giostra, dove si
siede, guarda caso in un'auto anni '50, come piaceva a lui, e viene
mostrata quasi tutta la filmografia del Maestro, come in un grande
"Giro di Giostra”.
Il
film era iniziato come una Divina Commedia Felliniana, con un
Virgilio che ci accompagna per questo “Inferno”, e Fellini nella
parte di "Dante", fino ad arrivare infatti all'agognato
“Paradiso”, il “suo Paradiso”, cioè, il mare bellissimo e
irreale, il "suo mare" che contempla in silenzio,
l'inquadratura da dove era iniziato tutto e con la quale termina il
film.
Concludo
dicendo che è stata una bella esperienza, anche per me "Felliniana". E pur non apprezzando io Fellini come tanti altri, esco dal cinema
estasiato, con dentro di me ancora più motivazione per il mondo del
cinema e per questa fantastica e quasi divina figura-mansione del
“regista cinematografico”.
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