mercoledì 18 febbraio 2015

Un giallo fuori dagli schemi. "La giusta distanza" di Carlo Mazzacurati 

 di Ruggero Zanatta Cottone
"Una volta qua era tutta campagna", dice Franco, interpretato da Natalino Balasso.
"È ancora tutta campagna", gli fa notare Giovanni.
"Te ne sei accorto anche tu? Non è cambiato niente", ribatte ironicamente Franco. Ma qualcosa cambierà.
Dopo una virtuosa panoramica a volo d'uccello sul fiume Po, accompagnata dalle splendide note folk dei Tin Hat Trio, planiamo con la macchina da presa di Luca Bigazzi, direttore  della fotografia del film, fino alla corriera blu che serpeggia sul lungofiume e che sarà il punto di partenza (e in qualche modo di chiusura) di tutta la vicenda.

Inizia così La giusta distanza di Carlo Mazzacurati, mostrando in tutta la sua fluviale nudità uno dei personaggi centrali del film, che, insieme ai suddetti Tin Hat, scandisce con la sua presenza i tempi del racconto: il paesaggio non è infatti solo l'ambientazione della vicenda, palco sul quale si sviluppano le vicende umane. Esso osserva i personaggi. Ed è osservato sia da loro, sia dallo spettatore, secondo una triangolazione di sguardi puntualizzata da Sandro Bernardi. È spazio narrativo e luogo pittorico. È un 'paesaggio impuro', per citare Martin Lefebvre, asservito alla dimensione diegetica del racconto, senza palesi intenzioni paesaggistiche. Eppure, da spettatori, non possiamo fare a meno di indugiare nella sua contemplazione in diversi momenti del film, come durante la gita in mare della protagonista, a bordo della barca da pesca d'altura del tabaccaio, in cui i due si trovano immersi nel grigiore etereo di una dimensione altra, fra cielo e mare ormai divenuti indistinguibili. A volte il paesaggio partecipa alla narrazione, rispecchiando gli eventi e la psicologia dei personaggi, come accade nel plot twist che scardina gli equilibri, tirando fuori lo spirito 'giallo' della storia, quando viene ritrovato un cadavere in acqua, fra il silenzio nebbioso del bosco e gli sguardi annebbiati dei paesani. Il tema dello sguardo caratterizza l'intera narrazione fin dall'incipit in cui Mara, maestrina di passaggio prima del definitivo trasferimento in Brasile, sfila di fronte agli occhi curiosi degli abitanti di Concalbero, piccolo paese del Polesine. Mara sarà oggetto dello sguardo e del desiderio di Hassan, meccanico tunisino immigrato e in apparenza pienamente integrato tra la popolazione (salvo nel momento del dubbio, in cui tutti saranno pronti a puntare il dito senza dubitare realmente della tanto apparente quanto fragile verità), nonché di Giovanni, giovane aspirante giornalista e fulcro del racconto.

Lo spettatore osserva Giovanni, il quale spia gli scambi di mail fra Mara e la sua amica, e i movimenti di Hassan, il quale a sua volta spia Mara immerso nel buio, combattuto fra desiderio, paura del rifiuto e senso di colpa. E il paesaggio osserva tutti quanti, silenzioso e statico.
Seguiamo la storia dagli occhi di Giovanni, voce narrante, mentre si consuma la parabola che alla fine del film lo vedrà diventare uomo grazie alla sua attivazione, in mezzo all'immobilità generale che caratterizza l'ambiente in cui è immerso. Giovanni è un personaggio attivo e lo dimostra da subito, insistendo per essere assunto come corrispondente locale al Resto del Carlino. La sua iniziativa subirà una fase di stallo quando si accoderà all'opinione comune sulla colpevolezza di Hassan, ma sarà riaccesa nel finale, in cui, infrangendo la regola aurea giornalistica della 'giusta distanza' (né troppo distanti dai fatti tanto da essere indifferenti, né troppo vicini tanto da rimanerne invischiati), potrà sciogliere i nodi e fare giustizia, anche se troppo tardi perché la tragedia sia compiuta. Ed è una tragedia propriamente greca, di cui Giovanni si fa deus ex machina e risolutore.

Uno dei pregi del film è quello di non finire intrappolato nelle categorie di genere. La trama, costellata soprattutto all'inizio di momenti quasi propri della commedia (vena onnipresente nel cinema italiano di ogni epoca, quasi impossibile da reprimere), è incentrata sull'amore fra Hassan e Mara, seguito a distanza da Giovanni. Vira poi tardivamente verso il giallo, nonostante la vicenda sia puntellata di macabri presagi (come i cani regolarmente uccisi e lasciati sul ciglio della strada), e rimane sostanzialmente un canovaccio che permette di dipingere un'umanità gretta, spenta, a tratti grottesca. Mara è la particella estranea che rimette in moto il corpo morto del paese e sconvolge alcune vite, ma, a conti fatti, gli unici a cambiare in profondità - uno si sente vivo dopo tanto tempo, l'altro attuerà il passaggio all'età adulta - sono Hassan e Giovanni. Quindi dramma, commedia, film romantico, giallo, La giusta distanza riesce a mantenere le giuste distanze da tutti i generi, per raccontare il Bildungsroman di Giovanni. Il fuoco della vicenda passa da lui all'amore di Hassan e Mara, per poi tornare sul ragazzo e sulla sua evoluzione.
Il colpo di scena finale non sottrae né aggiunge valore alla storia, rimanendo entro i confini canonici del giallo. Ottima la prova attoriale dei tre protagonisti, dalla recitazione misurata e convincente.

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